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Contro il panico della ragione

SASCHA LOBO
Quando le persone si comportano in modo meno ragionevole di noi stessi, allora inneggiamo subito al coprifuoco. Dietro a questo discorso si nasconde il “panico della ragione”.

 

Un nuovo sentore collettivo si sta facendo strada tra zone pedonali e social media: il “panico della ragione” – ovvero l’indignazione pubblica per il fatto che altre persone si comportino in modo meno ragionevole di noi. Dobbiamo distinguere il panico della ragione dal “Panico morale”, che ci porta a considerare certi comportamenti o certi gruppi di persone come generalmente pericolosi (ad esempio “i cinesi”). Un’altra cosa ancora è “l’Ipermorale” concetto delineato dal filosofo Arnold Gehlen, che spiega come la destra reazionaria contrasta la comunicazione morale ogni volta che si oppone ai propri fini politici (accusando ad esempio gli attivisti di essere “buonisti”).

Il panico della ragione invece è l’esagerazione di comportamenti effettivamente ragionevoli. Si tratta dell’abbandono della vera natura della ragione, cioè l’attenta valutazione di concetti e valori diversi. Se la ragione dice di spegnere una casa in fiamme, il panico della ragione tirerebbe giù una diga per riuscirci. Si tratta di una forma paurosa e amara di autoaffermazione nella crisi.

Questo testo non vuole sminuire il pericolo della malattia, né rifiutare i mezzi e i provvedimenti necessari per combatterla. 
Vuole invece parlare della comunicazione e del modo con i quali si risponde, a livello sociale, ad una situazione straordinaria.

Infatti durante questa quarantena, oltre alle reazioni positive e incoraggianti di molte persone, assistiamo frequentemente ad exploit di “panico della ragione”, atteggiamento se non nocivo potenzialmente pericoloso. Il panico della ragione è controproducente sia per la fase di lotta contro la pandemia nella quale ci troviamo attualmente, sia per quella società nella quale ci troveremo a vivere dopo la crisi.

Il classismo, cioè la discriminazione di persone di uno stato sociale “più basso”, è un problema generalmente sottovalutato. Durante la crisi Coronavirus lo si vede ovunque. È spaventoso con che determinazione viene richiesto il coprifuoco immediato, da parte di persone che non hanno competenze epidemiologiche né sociali e che non comprendono i propri privilegi sociali. Nell’appartamento lussuoso di nove stanze, pieno di carta igienica, è molto più semplice sopravvivere al coprifuoco di quanto non lo sia per un genitore single con due bambini in un monolocale.

Tutto quello che siamo portati a considerare come “ragionevole” dipende molto di più da un punto di vista soggettivo di quanto non pensiamo. Dietro al richiamo alla ragione si può nascondere di tutto: presunzione, voglia di paura o semplicemente invidia. 
“Se io non esco, allora anche gli altri se ne devono stare a casa!”

Questo discorso, però, non vale anche per il lavoro, visto che è più importante della salute psicologica.

La commessa del supermercato è giusto che stia otto ore in cassa a farsi tossire in faccia, ma se poi esce trenta minuti con il bambino per non impazzire è un’irresponsabile. Considerazioni fatte dal poggiolo, con spesa consegnata a domicilio e accesso a Netflix: #staythefuckhome.

Anche la naturalezza con cui il cittadino mediatico pretende che tutti seguano le notizie internazionali in tempo reale, per essere continuamente e perfettamente informati, è un aspetto della discriminazione sociale. Una larga parte della popolazione, sopraffatta dal continuo bombardamento informatico, ha completamente abbandonato il mondo giornalistico. È un problema sociale fondamentale, ma non lo si risolve a suon di insulti. Questa pandemia evidenzia ancora di più la contraddizione esistente tra una porzione di popolazione sempre informata e un’altra numerosissima, parliamo di milioni di persone, che semplicemente non parla o non comprende affatto il tedesco.

Una scena avvenuta a Berlino questa domenica (15 marzo): un proprietario di un bar licenzia tutto il suo personale, essendo costretto a chiudere. Non c’è alternativa, tutti lo comprendono. Nonostante ciò alcuni piangono, non sanno come pagare l’affitto. Accusare queste persone, perché non appoggiano completamente le misure di precauzione, è facile quando basta scaricare Microsoft Teams per continuare a fare lo smartworking da casa per le prossime otto settimane. Larga parte di chi lavora in proprio, invece, nel secondo trimestre 2020 avrà un incasso pari a zero.

Ora più che mai si manifestano le problematicità di un sistema sociale che ruota ancora intorno al contratto fisso, nonostante sia ormai una minima parte delle condizioni contrattuali esistenti. Chiaramente queste difficoltà non ricadono su chi le ha causate, ma su chi lavora con l’arte, la cultura, la gastronomia e in molti altri settori che rimarranno fermi per settimane. Non tutti sopravvivranno al Coronavirus, tanto dal punto di vista medico quanto da quello economico.

La possibilità di attuare lo smartworking è un privilegio, esattamente come la possibilità di attuare il “social distancing” senza danni collaterali. Inoltre, accusare le persone di comportamenti irragionevoli senza conoscere le loro circostanze personali è quantomeno superficiale. Come lo sono anche le battute sui “cretini” che si riempiono la casa di carta igienica. Si tratta di paure a cui andrebbe data una risposta invece di deriderle. Rispondere non vuol dire giustificarle o considerarle legittime. Questa crisi è anche una crisi di certezze.

L’episodio della “mamma di Berlino” mostra molto bene la complessità della situazione. In un messaggio vocale su Whatsapp, che ha girato mezza repubblica, Elisabeth, una mamma di Berlino, avvisava dal pericolo dell’Ibuprofene. È scattato subito il panico della ragione: il messaggio è stato girato e ridicolizzato come fake-news per eccellenza. Ormai, invece, sappiamo che la situazione è più complessa: gli esperti non sono sicuri, la ricerca ha appena cominciato, ma l’OMS ormai consiglia in certi casi di Covid-19 di non assumere Ibuprofene. Il messaggio vocale della mamma, quindi, non era del tutto corretto e la sua diffusione di massa è stata, sicuramente, problematica, ma per quanto riguarda il nocciolo della questione è meno fake-news di quanto non si credesse.

Rimangono migliaia di indignati, che condividono le presunte fake-news di parenti e amici via Whatsapp per prenderli in giro o correggerli in modo aggressivo – senza però aver effettivamente approfondito la questione, bensì sulla base di un sentore comune: una qualsiasi mamma di Berlino che inoltra un messaggio vocale può soltanto avere torto. In questo modo non si fa altro che esprimere superiorità, ma non si convince nessuno. Al contrario, se quelli che inizialmente criticano alla fine si scopre siano quelli che sbagliano, la prossima ondata di fake-news incontrerà ancora meno resistenza e la disponibilità a lasciarsi correggere diminuirà sempre di più in un terribile circolo vizioso.

Ecco un’altra conseguenza problematica del panico della ragione: provoca “reattanza”. Nella scienza della comunicazione la reattanza descrive un comportamento difensivo provocato da informazioni sbagliate. Insomma, chi insulta le persone che si comportano in modo sbagliato, contribuisce al fatto che il loro comportamento non cambierà. Cosa potrebbe funzionare allora? Interpellare continuamente e con pazienza l’empatia e la ragione delle persone. Continuamente, con determinazione, ma gentilmente.

Chi non ha la pazienza per questo approccio e si lascia trascinare dal panico della ragione ritiene che il proprio aver ragione sia più importante del cambiamento nell’altro. Se questa situazione della non-comprensione procede, si può giungere ad una situazione potenzialmente problematica. Ogni contromisura funziona soltanto se la maggioranza la rispetta. Se solo il 20% della popolazione infrange un’eventuale coprifuoco una democrazia liberale non ha nessuno strumento per reagire.

È per questo motivo che accettare passivamente ogni sentenza proveniente da epidemiologi, per quanto esperti, potrebbe essere addirittura fatale. È evidente che gli esperti vanno rispettati, ma non solo i virologi. Abbiamo bisogno anche di esperti politici, molti virologi sono d’accordo con quest’affermazione. Non tutto ciò che avrebbe un senso tal punto di vista medico può funzionare a livello sociale. Le società sono cose piuttosto complesse, che reagiscono spesso in modo imprevisto.

Klaus Lederer, Senatore della Cultura di Berlino, giustamente ricorda come un coprifuoco farebbe aumentare molto il tasso della violenza domestica, recenti dati cinesi lo confermano. La necessità di un coprifuoco comunque va valutata. Una risposta si deve trovare in modo scientifico e politico, ma chi sulla base della “stupidità di massa” dichiara che solo la risposta più dura, più estrema, possa funzionare non si comporta in modo ragionevole, ma risponde al panico della ragione.

C’è un motivo per cui non viviamo in un’espertocrazia, ma in una democrazia rappresentativa, nella quale la politica dovrebbe organizzare in modo responsabile la società. È per questo che sono scioccato dall’abbandono di ogni processo democratico in seguito a ragionamenti come: “È così evidente! Perché i politici non fanno un cazzo? Tutti nullafacenti!”.

Con che velocità anche persone liberali sono disposte ad accettare ogni limitazione dei diritti più fondamentali, se solo credono che servano al bene maggiore! Rimane evidente che questo del CoronaVirus è un problema serio, nessuna persona ragionevole può mettere in dubbio che misure drastiche siano necessarie e forse lo saranno ancora di più in futuro. Però, che persone che per tutta la loro vita hanno combattuto per i diritti costituzionali ora non aprano bocca mi basisce.

Infatti, significa che basta una grave emergenza per convincere una maggioranza ad abbandonare ogni principio di diritto e ad attaccare tutti coloro che ne vorrebbero anche solo parlare. Il panico della ragione elimina il dibattito. Deve essere garantita la possibilità di poter argomentare contro il coprifuoco senza che per forza ci si accusi di attentare alla salute pubblica.

Nella mia esperienza, limitazioni permanenti di diritti fondamentali sono molto più facilmente realizzabili nel momento in cui c’è un precedente. Queste limitazioni sono sensi unici, la situazione solitamente peggiora, quasi mai migliora. 
In Austria, senza protesta, una grande società di telecomunicazioni ha fornito tutti i dati dei suoi utenti allo Stato. Dopo questo passo è evidente che alla prossima crisi o per il prossimo crimine questa pratica si ripeterà. Ciò che si può giustificare ora, in futuro si potrà giustificare con molto meno.

Nelle democrazie liberali la maggior parte delle questioni sociali sono questioni di valutazione, e il processo del discorso e della valutazione è fondamentale e legittimo anche se in questo momento sembra fuori luogo. Sorveglianza e controllo sociale possono salvare vite non solo nel caso di quest’epidemia, ma anche in casi di terrorismo e criminalità. Non dev’essere considerato antisociale pensare anche al periodo post-Covid19 e a ciò che succederà alla nostra democrazia liberale.

Il ministro degli Interni della Bassa Sassonia voleva punire in modo esemplare gli autori di fake-news creando nuove leggi di censura. Tutto questo è inutile e dannoso, Pistorius evidentemente non ha capito niente delle fake-news, o non gli interessava altro che un’uscita che facesse clamore sui quotidiani. Se non facciamo attenzione potremmo ritrovarci nella situazione in cui un articolo che un giorno sembra assolutamente innocuo già il giorno seguente potrebbe rispondere ai criteri di fake-news, persino la satira.

Nel panico della crisi si creano mostri giuridici, che praticamente non sono ritirabili. Negli Stati Uniti tra poco potrebbe passare una legge che rende praticamente impossibile la codificazione delle proprie comunicazioni digitali. In passato è già stato tentato plurime volte senza successo grazie alle proteste popolari, ora in emergenza CoronaVirus le priorità sono altre e si trova sempre qualcuno che vuole combattere il virus con la sorveglianza, anche in Germania.

Durante la conferenza stampa del governo federale un giornalista ha chiesto se i confini dopo la crisi verranno riaperti. Angela Merkel ha risposto: “Speriamo.” Sembrava più un augurio che una certezza. Non solo ci saranno da piangere molti, molti morti, ma i danni sociali di questa pandemia saranno profondi e universali. E non è sbagliato parlarne.

Der Spiegel 18 marzo 2020