Nel 2020 del Coronavirus la stampa genovese dedica ovviamente e giustamente ampio spazio all’epidemia. Come tutti, fatica a gestire il problema nella sua portata globale, parcellizzando in svariati articoli le mille sfaccettature della crisi. Svariati articoli che riguardano direttamente o indirettamente l’epidemia: il morboso elenco dei contagiati, dei guariti e dei morti, l’esegesi approssimativa dei decreti che limitano gli spostamenti, i grotteschi episodi di violazioni o delazioni, i tocchi di colore dei cinghiali che scendono in via Gramsci incoraggiati dalla scarsa presenza umana…
Ma se si vuole scorrere le pagine online delle ultime settimane con l’occhio pedante dell’entomologo, si rileva un curioso fenomeno. Ogni tot, come avviene da mesi, c’è un articolo che celebra ogni minimo upgrade del cantiere del ponte Morandi. E questo articolo è regolarmente netto, pulito, asettico.
Sul Secolo XIX, quotidiano nazionale, ma soprattutto locale di riferimento, se si cerca nel sito “ponte” e si leggono i risultati, si nota che in quasi nessuno di essi si trovano accenni al virus, nemmeno alla lontana, nessun discorso, neanche vago, sull’utilità e l’opportunità di tenere aperto un cantiere stradale su una tratta che non era più congestionata da mesi in un momento critico dal punto di vista sanitario, durante una fottuta pandemia. L’episodio inevitabile dell’operaio risultato positivo al virus con la conseguente quarantena di 50 colleghi e sanificazione del cantiere, e che non si poteva ignorare, viene però trattato con due sbrigativi articoli (1). Gli articoli successivi per un bel po’ si guardano bene dal fare alcun riferimento a ciò, salvo il paternalistico riconoscimento misto a goffa raccomandazione dell’archistar Renzo Piano “siete come i medici, lavorate con prudenza” (2). Già solo la settimana successiva, tra un titolo drammatico su un focolaio in una casa di riposo e uno luttuoso sul raccoglimento delle istituzioni davanti ai morti, il cantiere risulta chiuso “per vento forte”. L’articolo non parla, ovviamente, mai di virus, nemmeno una riga finale sui problemi degli operai, che avrebbe potuto redimerlo parzialmente dalla sua natura inequivocabile di velina, di comunicato. Il titolo viene poi modificato in un superomistico “Il vento non ferma le operazioni in cantiere” (3).
I numeri dei morti e dei contagiati fanno vacillare le chiacchiere sulla buona gestione istituzionale dell’emergenza, che da un lato cerca di scaricare la responsabilità sui singoli, dall’altro distribuisce mascherine il cui confezionamento con tanto di logo pubblicitario è costato la bellezza di 155.000 euro. Ma tutto va benissimo nel migliore dei cantieri possibili.
Gli articoli legati al cantiere sembrano degli incongruenti frammenti su una base diversa, scritti in un altro tempo o su un altro pianeta. Fondamentalmente veline della propaganda del Comune, della Regione e della lobby dei costruttori per cui il governatore della Regione ha già mostrato grandi attenzioni, che soffocano le sporadiche denunce dei lavoratori riguardo alle condizioni di sicurezza approssimative. (4)
Ci hanno rubato le sirene
“Genova risponde al porto con l’urlo alto delle sirene”, cantava l’emiliano Guccini.
Un genovese può vivere per anni ignaro del grido di tutte le sirene del porto, un suono perturbante e raro, dedicato a momenti gravi e importanti della città. Lutti cittadini, eventi catastrofici o anniversari imprescindibili. È il tributo del cuore salmastro della città, dei portuali, agli eventi che la scuotono.
Bucci e Toti si sono appropriati indebitamente di questo gesto carico di significato per la passerella in Valpolcevera. Un cantiere completamente trasfigurato, non più cantiere ma simbolo e strumento di consenso per i satrapi locali, macchina da soldi costruita sui morti per i costruttori gongolanti.
Il ringhiare del malcontento aveva fatto desistere Bucci dal fare il suo show il 25 aprile, data a cui pare allergico e che aveva già cercato di confondere e svilire l’anno precedente con la grottesca trovata della “festa della bandiera”.
Il 25 aprile non viene distorto, ma in cambio viene rubato il grido del porto per questa pagliacciata, come sentire un remix dell’Internazionale a un evento di Confindustria.
La rabbia sale agli occhi nel sentire questo ulteriore furto, questo ennesimo insulto.
Promesse di rinascita da marinaio
Il crollo del ponte Morandi, o meglio la narrazione del crollo da parte dei media, meriterebbe un lungo discorso a sé. Anzi, ci sarebbero da fare più lunghi discorsi sulle responsabilità, sull’uso assolutorio della parola “incidente” o “disgrazia”, sui successivi episodi di crolli e cedimenti sulla rete autostradale (regionale ma non solo), sulle indagini riguardanti le omissioni dolose e letali da parte dei gestori finalizzate a massimizzare i guadagni, sulla retorica ambigua della ricostruzione e della città che si riunisce afflitta ma coraggiosamente rivolta alla ricostruzione di una nuova grandezza nel rispetto delle gerarchie istituzionali e che cerca freneticamente di soffocare la ringhiante narrazione di una città incazzata con i padroni e gli sfruttatori.
Che la narrazione del nuovo ponte come simbolo di rinascita sia un’esca ghiotta usata da tutti i politici e ripresa dalle testate locali per incoraggiare o distrarre cittadini stanchi e impauriti, o peggio (per i padroni) arrabbiati di una città morente, è indubbio. Un’esca facile, per non pensare alle questioni complesse che la stanno uccidendo da anni. Il cantiere deve andare avanti, indipendentemente dai rischi, mentre ogni tanto Sindaco o Governatore incolpano di irresponsabilità i comuni cittadini, seguendo un copione diffuso (5).
Nessuna progettualità sensata dopo la fine dell’epoca dell’industria pesante e del parastato, se non vistosi e megalomani progetti a spot, ignorando interventi sistemici di manutenzione di un territorio difficile, provato a ogni autunno dalle piogge ormai monsoniche. Generare e coccolare la paura, sentimento facile da sviluppare in una città con un’età media elevata (tra le più alte d’Italia) e quindi investire in politiche securitarie e di “decoro”, sistematicamente scoraggiando i giovani e azzoppando per riflesso l’Università, in un circolo vizioso. Ovviamente criminalizzare i migranti. Puntare le ultime fiches sul turismo predatorio e sui grandi cantieri, l’ultima spiaggia dello sfruttamento territoriale, l’ultimo passaggio per sfilacciare il tessuto sociale dove già non è nato storpiato dall’urbanistica dei quartieri dormitorio del boom.
Una narrazione di illusoria redenzione, dunque, che non deve essere offuscata o messa in discussione da dubbi o esitazioni, nemmeno per la pandemia.
Anche la burocrazia è equiparata a esitazione e ostacolo a questo fasullo futuro raggiante. In un’intervista ad Avvenire, il Governatore proclama tronfio un po’ di vecchi slogan berlusconiani:
“Via codice degli appalti, via gare europee, via controlli paesaggistici, via certificati Antimafia, via tutto. Almeno per due anni.” (6)
In una regione martoriata dal cemento e dall’abusivismo, ogni anno devastata dalle alluvioni, in cui ponti e viadotti gestiti da speculatori si sbriciolano come wafer, una delle regioni con maggiori infiltrazioni mafiose, con grandi opere in corso.
Il giorno dopo crolla l’ennesimo ponte ad Albiano Magra, tra la provincia di La Spezia e quella di Massa
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Nella foto, la demolizione del vecchio Ponte Morandi e l’assembramento di giornalisti per la cerimonia della posa dell’ultima trave del nuovo ponte
(1) Nel primo articolo, il contagio è presentato assieme ad altri casi, legati al porto. https://www.ilsecoloxix.it/genova/2020/03/27/news/genova-il-contagio-sbarca-tra-i-portuali-ponte-primo-positivo-in-cantiere-1.38644127 e https://www.ilsecoloxix.it/genova/2020/03/27/news/nuovo-ponte-di-genova-50-operai-in-quarantena-sanificazione-del-cantiere-1.38644977
(3) Per leggere il primo, più modesto titolo, è necessario lo screenshot. https://www.ilsecoloxix.it/genova/2020/03/31/news/nuovo-ponte-di-genova-il-vento-forte-ferma-le-operazioni-in-cantiere-1.38660083
(6) https://www.avvenire.it/attualita/pagine/litalia-riapra-dagli-under-50